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L’intuizione di Mauro Trimigliozzi

Quando nasce un’azienda c’è sempre un’idea imprenditoriale alla base. A volte l’idea è geniale, altre volte non vale: la risposta la si trova dopo anni, quando si tirano le somme. Mauro Trimigliozzi, presidente di Philip Martin’s, è appena tornato dalle vacanze in Sardegna: una settimana di sole e mare con sua moglie e i suoi figli, Filippo, Martina e Tommaso. Abbronzato e rilassato, si confida in un’intervista che racconta l’ascesa dell’azienda, i punti cruciali e le svolte.


L’intervista

Dietro ogni prodotto di Philip Martin’s ci sono studi, ricerche, test e analisi, ma tutto parte da un’idea, l’intuizione di Mauro Trimigliozzi.


Qual è stata l'idea iniziale? Com’è cominciato tutto?

Tutto comincia da molto lontano: era il 1983 quando, ancora con l’idea di diventare calciatore, avevo messo da parte l’ambizione e un parrucchiere mi inserì in una squadra diversa e diventai grossista. Dopo un anno e mezzo mi disse di cambiare lavoro perché non portavo risultati. Andai a presentarmi in una concessionaria monomarca: in due anni portai molti risultati ma cambiai perché arrivò la chiamata dalla multinazionale. Fu quest’ultima a formarmi: sul marketing, sulla comunicazione e sulla composizione prodotti. Lì feci veramente il salto: mi fecero diventare esperto nel settore. Dopo molti anni mi resi però conto che ero un numero, non una persona, e accettai l’offerta di un’azienda americana che mi fece scoprire i prodotti biologici organici. Iniziai così a capire che c’era un’alternativa naturale al cosmetico chimico. Dopo due anni l’azienda fu però venduta a una compagnia internazionale e questo successe nelle altre tre aziende successive in cui andai. Purtroppo, o per fortuna, mi ritrovai quindi ad avere una grande formazione sugli ingredienti, sul modo di comunicare i prodotti, ma in quel momento non avevo un’azienda per cui lavorare. Mi piace definirmi “visionario” per la mia capacità cinestetica, che unisce l’osservazione al fare. Passai quindi al fare e inventai Scalp Benefit e Puryfing Wash.


Fu subito successo?

“Assolutamente no. In sei/sette mesi creai 10/12 prodotti: avevo l’idea e mi appoggiavo a un’azienda esperta nel settore che me lo produceva. Nel 2009 andai alla prima fiera, a Bologna: ero però inserito all’interno del biologico ed ebbi poco riscontro. Incuriosii solo un americano che mi offrì molti milioni, ma voleva vendere i prodotti all’interno di shop market e department store e quindi gli dissi che non ero interessato. Nel 2010 volai al Salon International di Londra e versai i vari shampoo nei bicchieri da Champagne: si avvicinò un signore distinto che pensava fosse veramente vino e lo bloccai, spiegandogli che era shampoo”.


Chi era? Un personaggio famoso?

“Era Richard Dalton, parrucchiere personale della principessa Lady Diana. Diventò ambasciatore di Philip Martin’s in tutto il mondo e iniziò così l’interesse attorno al marchio. Nel 2011 lo stilista Valentino Garavani chiamò in azienda: mi venne passato al telefono, dicendo che era “Valentino”. Misi giù pensando fosse uno scherzo e rispondendogli che io ero Roberto Baggio. Non era uno scherzo: mi ordinò 12 litri di Maple Wash e Maple Rinse perchè si trasferiva a Beverly Hills e non poteva più comprare dal suo parrucchiere di Roma. Lo stesso anno la distributrice USA Julie Stamatis mi chiamò per dirmi che  in un’intervista su Harper’s Bazaar (https://www.harpersbazaar.com/fashion/designers/a1005/24-hours-with-valentino-0913/), Valentino citava Philip Martin’s nella sua routine quotidiana”.


In quell’istante iniziò l’ascesa? 

“Fu un momento cruciale, in cui si avvicinarono anche molti vip e calciatori ai prodotti. Iniziai a dimenticare gli anni difficili, in cui ci furono episodi di truffa, di frode e di furto delle idee. Feci un upgrade dei prodotti, motivato sempre dalla voglia di mettere a disposizione di parrucchieri ed estetiste la possibilità di differenziarsi con ingredienti green, che salvaguardano la salute di chi li lavora, di chi li usa e dell’ambiente. Distinguersi per non estinguersi”.


Come nasce un prodotto Philip Martin’s? 

“Analizzo il mercato, andando dal parrucchiere e dall’estetista: chiedo a loro cosa serve, cosa manca, cosa viene richiesto. Metto poi in campo l’alternativo, l’ingrediente naturale che può essere efficace e mi metto a fianco del chimico. L’idea è basata su un’esigenza e la visione: il risultato è un prodotto con anima, che dà la possibilità di diversificarsi”.


Il nome dell’azienda è quello dei suoi figli: perché? 

“Volevo che ci fosse un’anima di continuità, sperando che i miei figli decidano un giorno di portare avanti la mia idea. Volevo che i miei figli crescessero con prodotti che non causassero dermatiti, alopecia e tante altre problematiche”.


Cosa fanno oggi i suoi figli? 

“Filippo, 17 anni, andrà a settembre in quarta superiore in una scuola internazionale. Martina, 15 anni, inizierà il secondo anno della Scuola di Estetica, mentre Tommaso, 14 anni, inizierà un Istituto Tecnico Commerciale. Non sono ancora inseriti in azienda perché vorrei fossero loro a chiedermi di entrare, non li voglio forzare”.


Hanno un loro parere sui prodotti? 

“Li usano, ma non sanno ancora confrontarli rispetto agli altri. Mia figlia è l’unica che si è resa conto che i nostri articoli per il make-up sono migliori rispetto ad una marca che usava lei. Seguono Philip Martin’s tramite social perché sono molto digitali, ma sono ancora lontani dal mondo aziendale”.


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